Caiazzo è un piccolo comune della provincia di Caserta, situato nell’entroterra a circa 200 metri sul livello del mare. Con ogni probabilità si tratta di un luogo sconosciuto ai più, forse noto a qualcuno soltanto per una pizzeria stellata divenuta celebre. Eppure Caiazzo ha molto da raccontare: dalla sua storia antica fino al mistero di cui parlerò oggi, quello della cosiddetta piramide, impropriamente nota come Monte Mesorinolo.
Della piramide di Caiazzo si discute ormai da anni. Resta tuttavia un enigma poco noto a livello nazionale e non è da escludere che vi sia stata, nel tempo, una volontà di mantenerne segreta l’esistenza. Io stesso ne venni a conoscenza durante una ricognizione sul territorio, quasi vent’anni fa, e per molto tempo ho rimandato qualsiasi pubblicazione, in attesa di disporre di dati sufficienti per restituire al fenomeno la serietà che merita. Oggi, finalmente, dopo che il lavoro ha ottenuto un primo riconoscimento nell’ambito della ricerca indipendente, ho deciso di rendere pubblici i risultati.
La piramide ignorata dal mondo

Nel mondo si parla ampiamente delle piramidi egizie e mesoamericane, ignorando quasi del tutto ciò che il nostro Paese avrebbe da offrire in questo ambito. La piramide di Caiazzo non ha nulla da invidiare alle sue omologhe più celebri; al contrario, presenta caratteristiche che la rendono unica e degna di attenzione. Si potrebbe persino ipotizzare che venga trascurata per una forma di invidia culturale, ma questo articolo non intende chiarire tale aspetto, bensì concentrarsi sul mistero più rilevante: quello legato alla sua origine.
È sufficiente impugnare righello e goniometro per rendersi conto che le sue inclinazioni sono troppo regolari e geometricamente coerenti per essere il risultato di semplici processi geologici naturali. Ci si trova chiaramente di fronte a un’opera dell’uomo, ma per fugare ogni possibile dubbio non mi sono limitato all’evidenza immediata.
A conferma delle indicazioni già emerse nelle segnalazioni prodotte in precedenza da altri ricercatori, ho effettuato rilievi diretti sul campo. Ho utilizzato strumenti relativamente modesti, ma funzionali allo scopo: un drone, abitualmente impiegato da mio cugino per servizi fotografici matrimoniali, rivelatosi adatto al sorvolo completo della struttura, e un laser di precisione acquistato su Temu, comunque sufficientemente accurato per la misurazione di inclinazioni, simmetrie e pendenze. L’insieme dei dati raccolti conferma che sotto l’attuale manto vegetale si estende una struttura di origine artificiale.
La maggior parte delle teorie sostenute dai detrattori si concentra proprio sul fatto che la formazione sia interamente ricoperta dalla vegetazione, trascurando che è esattamente questa caratteristica a consentirci una datazione attendibile e l’inquadramento in un preciso contesto storico.

L’intera piramide di Caiazzo, a differenza delle sue omologhe più blasonate, fu realizzata con materiali insoliti e poco convenzionali per l’epoca, che non hanno superato in modo brillante la prova del tempo. Osservandola oggi, con uno sguardo moderno, si potrebbe quasi sostenere che i suoi costruttori fossero dei precursori di una sensibilità “green”. I geometri campani di allora non erano certo vincolati da criteri ecologici, né tantomeno erano degli sprovveduti.
Invisibile perché abusiva?
Sulla base dei materiali rinvenuti in superficie e del confronto con altre strutture coeve, la piramide può essere collocata tra il II e il III secolo d.C., un periodo in cui i geometri locali operavano con notevole astuzia per eludere quelle che possono essere considerate le prime forme di normativa catastale della storia. Chi conosce la versione meno divulgativa dei fatti, e non soltanto quella dei manuali scolastici, sa che le prime imposizioni sugli immobili venivano applicate a partire dalla filiera di produzione dei materiali da costruzione. In questo modo gli esattori erano in grado di risalire alla posizione delle strutture in fase di realizzazione.
Fu in questo contesto che i geometri campani iniziarono a sperimentare l’impiego di materiali alternativi alla pietra e al tufo. Grazie a questo espediente, tanto semplice quanto ingegnoso, riuscirono a sottrarsi alle forme embrionali di tassazione, ignari però del fatto che, nei secoli successivi, la loro piramide sarebbe stata progressivamente riassorbita dalla natura. Personalmente preferisco pensare che avessero messo in conto anche questo esito e che, anzi, fosse un effetto deliberato, concepito per evitare future sanzioni a carico delle loro discendenze.
L’abusivismo edilizio spiega anche perché della piramide non esista alcuna traccia nelle mappe dell’epoca: di fatto, la sua presenza non venne mai registrata ufficialmente.
Non è possibile stabilire con certezza quale fosse la funzione originaria di questa struttura. Le ipotesi avanzate nel tempo sono diverse, ma quelle oggi ritenute più plausibili convergono sull’idea che la piramide fungesse da grande magazzino, nonché da punto di stoccaggio e distribuzione dei prodotti caseari del territorio.
Conclusioni
A conclusione di questo percorso, è difficile non provare un certo orgoglio per l’ingegno di queste persone. In queste terre, che per moltissimi restano le più belle del mondo, già allora si dimostrava una capacità fuori dal comune di leggere le regole, aggirarle e trasformarle in opportunità. Non si trattava di furbizia spicciola, ma di una forma raffinata di intelligenza pratica, applicata all’architettura e al territorio, che consentiva di costruire, prosperare e allo stesso tempo sottrarsi a un sistema fiscale percepito come estraneo.
È anche per questi motivi culturali, spesso ignorati dagli approcci più accademici, che la piramide di Caiazzo può essere considerata una delle strutture più rilevanti dal punto di vista storico. Non solo per ciò che è, ma per ciò che rappresenta: una testimonianza materiale di un modo di pensare, di arrangiarsi e di resistere, profondamente radicato nella storia campana.
Non è azzardato ipotizzare che questa vicenda rientri nell’ampio catalogo delle storie del Sud progressivamente rimosse o marginalizzate dopo l’Unità d’Italia. Come molte altre, anche questa potrebbe essere stata sepolta, prima simbolicamente e poi fisicamente, sotto il peso di una narrazione costruita altrove, in cui i Savoia avevano poco interesse a valorizzare esempi di autonomia, ingegno e indipendenza maturati ben prima del nuovo Stato.
