Le scie chimiche sono, oltre ogni ragionevole dubbio, uno dei problemi più gravi del nostro tempo. Eppure, nonostante la portata del fenomeno, pochissimi ricercatori indipendenti hanno avuto il coraggio di spingersi oltre il confine del già noto. Il Comitato Chiave Orgonica fa eccezione. E preparatevi, perché nell’indagine che stiamo per raccontarvi abbiamo superato una soglia che nessun ricercatore indipendente italiano aveva mai osato oltrepassare: siamo saliti a bordo di un aereo tanker.
Tutto è partito dalle vostre numerose richieste di chiarimento sulle attività di geoingegneria, molte delle quali impossibili da affrontare con la sola osservazione del cielo e dei velivoli. Per questo abbiamo iniziato a valutare seriamente la possibilità di raggiungere uno di quegli aerei appartenenti alla compagnia che, come sappiamo, diffonde più scie chimiche — compagnia che non possiamo nominare per motivi di sicurezza. L’unico ostacolo era di natura pratica e morale: non volevamo in alcun modo finanziare un’operazione di genocidio globale.
Poi, la svolta. Qualcuno, da lassù, evidentemente veglia su di noi. L’occasione si è presentata poco dopo: grazie a una promozione esclusiva di Eurospin Viaggi, siamo riusciti a ottenere tre biglietti di sola andata per Calcutta a un prezzo che definire stracciato è poco.
Le anomalie al check-in
Ci ritroviamo dunque io (Melvin), Wotan e Prometeo all’aeroporto di Reggio Calabria, pronti a imbarcarci. Le stranezze iniziano subito: controlli ripetuti ai bagagli, ispezioni inspiegabilmente minuziose e sequestri del tutto assurdi. Ci vengono requisiti sia le bottiglie di aceto invecchiato sia i rotoli di nastro da carrozzieri con cui intendevamo realizzare elmetti di fortuna. Abbiamo provato a chiedere chiarimenti, ma ci è stata rifilata la solita scusa della “sicurezza”.

Tuttavia i nostri bagagli da stiva sono stati imbarcati senza alcuna complicazione.
All’interno abbiamo inserito sfere di gel igroscopico prese nel negozio cinese di fiducia: ufficialmente servono ad assorbire l’acqua e vengono collocate nei vasi di fiori, ma il nostro utilizzo è ben diverso. Quelle sfere possono assorbire microelementi chimici rintracciabili.
Il piano è lasciare che assorbano l’umidità e le sostanze disperse in essa all’interno della stiva dell’aereo. Se si arricchiscono di nanoparticolato sospetto, avremo una prova pesante; se non si arricchiscono, avremo comunque un indizio su come certe sostanze vengono tenute isolate dall’umidità convenzionale.
Gli insabbiamenti in volo
A bordo, l’atmosfera peggiora. Appena seduti, un assistente di volo ci ordina con un’insistenza fuori luogo di tenere le cinture allacciate “per tutta la durata del decollo e della salita”. Nessuna spiegazione soddisfacente, solo sguardi torvi e parole incomprensibili. La verità inizia a venir fuori: quelle cinture servono più a tenerci inchiodati ai sedili che a proteggerci. Se non ti puoi alzare, non puoi guardare fuori dal finestrino. Ed è proprio quello che vogliono.
E infatti, appena Wotan prova a sbirciare meglio, viene immediatamente richiamato. Come se là fuori stesse accadendo qualcosa che non dobbiamo vedere.
Qualcosa c’è, eccome. Perché, a differenza di quanto dichiarato dal comandante, l’aereo non sta volando affatto agli oltre diecimila metri “di routine”. A occhio — inclinazione, visibilità del terreno, composizione delle nuvole attorno — siamo molto più in basso. Voliamo tra le nuvole come un deltaplano qualsiasi, non come un intercontinentale diretto in India. Perché mentire sull’altitudine? Cosa stanno facendo davvero a questa quota?
Poi c’è la luce. Non quella del sole naturale, ma una luminosità esterna innaturalmente bianca, metallica, quasi artificiale. Filtra dai finestrini con un’intensità che nessuno di noi aveva mai visto prima. Prometeo la riconosce subito: “È la stessa luce dei tanker americani”. Le hostess ci fissano, nessuno ride.
A dimostrazione che quella luce non è affatto naturale abbiamo i finestrini che ci vengono oscurati, senza preavviso, in momenti casuali del volo. Tutto molto strano.
Nel frattempo, Prometeo sta portando avanti la sua missione personale. Ha bevuto aceto di mele prima dell’imbarco — scelta obbligata, vista la confisca — con un duplice scopo. Primo: raccogliere campioni di urina acidificata in cabina, da analizzare per eventuali nanoparticelle presenti nell’aria pressurizzata. Secondo: neutralizzare, almeno in parte, l’effetto delle scie chimiche durante il volo. Secondo i suoi test preliminari, l’urina acidificata con aceto altera la stabilità delle microparticelle disperse, rendendole meno efficaci. Una contro-mossa estrema, sì, ma perfettamente coerente con ciò che stiamo affrontando.
Così eccoci: cinture che ti immobilizzano per non farti guardare fuori, un’altitudine falsata, una luce che non è del sole, sfere igroscopiche pronte ad assorbire nanoparticolato nella stiva e Prometeo che si prepara a trasformare la toilette in un laboratorio volante di contro-geoingegneria.
E più minuti passano, più è evidente: questo non è un normale volo passeggeri. È qualcosa di molto più torbido. E noi siamo finalmente nel ventre della bestia.
L’esito delle analisi
Una volta rientrati, i campioni sono stati portati in un laboratorio privato, in forma totalmente anonima. Nessuna spiegazione sull’origine, nessun riferimento a voli o geoingegneria. Per il laboratorio si trattava di normali analisi su materiale biologico e su polimeri idratati. Proprio questa mancanza di contesto rende i risultati interessanti: non c’era alcun motivo per manipolarli.
Partiamo dalle urine acidificate con aceto. I valori mostrano un pH nettamente più basso del normale, come era prevedibile, e un aumento dell’eliminazione di sali e residui inorganici. Compaiono tracce di metalli comuni nell’esposizione ambientale, in quantità modeste ma misurabili, insieme a una componente particolata eterogenea. Il laboratorio parla di contaminazioni aspecifiche, verosimilmente dovute a fattori esterni e a una raccolta non sterile: microresidui organici, batterici e materiali di contatto. Tradotto: un campione raccolto in condizioni reali, non in una stanza bianca, che mostra come l’organismo, sotto stress acido, tenda a espellere tutto ciò che trova sulla sua strada, compreso ciò che normalmente resta inosservato. E se questo emerge dopo un volo “di linea”, qualche domanda sul carico respirato viene spontanea.
Ancora più rivelatrici le sfere di idrogel. Il laboratorio conferma che hanno assorbito una quantità di umidità superiore al normale e che, insieme all’acqua, hanno inglobato sali minerali, residui metallici e particolato fine. Vengono citate anche contaminazioni compatibili con il contatto indiretto con materiali tessili e industriali, come nano-fibre, polveri e tracce di sostanze di natura sintetica. Ma è proprio questo il punto, quelle sfere erano chiuse in valigia, infilate tra i vestiti, senza accesso diretto all’esterno. Come hanno fatto a contaminarsi in quel modo se non attraverso nanoparticolato presente nell’aria della stiva?
Ufficialmente sono risultati ordinari per la scienza mainstream, spiegabili e minimizzabili. Presi insieme, però, raccontano altro: un ambiente saturo, carico, dove anche ciò che dovrebbe essere inerte finisce per assorbire più del dovuto. Nessuna prova definitiva, certo, ma abbastanza elementi da confermare che quel volo non è stato un semplice spostamento da un punto A a un punto B. Qualcosa circolava. E non era solo aria.



