Questa estate tutti con gli occhi aperti, soprattutto chi va al mare.
Non solo bisogna sempre tenere lo sguardo alto per monitorare l’attivita degli aerei tanker, ma bisogna anche preoccuparsi dei microchip nella sabbia in spiaggia.
Siamo nel 2001, quando Hitachi, multinazionale giapponese, annuncia lo sviluppo di piccoli chip RFID della grandezza di un granello di sabbia. Tali chip vengono soprannominati “smart dust”, la polvere smart.

Dal loro annuncio nel 2001 sono passati 23 anni, e sappiamo bene quanto possa evolversi la tecnologia in due decenni. Per dare un’idea chiara: nel 2001 avevamo il Nokia 3310 in tasca, oggi ci portiamo dietro dei veri e propri supercomputer.
Tornando all’attualità, negli ultimi mesi si è parlato molto della sabbia, tanto da spingere numerosi ricercatori indipendenti ad analizzarla con attenzione. Noi abbiamo già ampiamente trattato il caso della sabbia del Sahara che ha ricoperto il nostro paese, con obiettivi ben precisi.
Questa crescente attenzione nel panorama scientifico indipendente ha portato alla scoperta della famigerata smart dust in diverse spiagge italiane. Le analisi non lasciano spazio a dubbi: minuscoli granelli dalla forma quadrangolare, composti principalmente da silicio. Come se non bastasse, reagiscono alla calamita: sono magnetici.
Inizialmente ci si interrogava sul loro scopo. Alcuni ipotizzavano che fossero l’ennesimo strumento di tracciamento per monitorare le abitudini dei bagnanti, magari sul consumo di cibi e bevande portati da casa.

La rivelazione è arrivata di recente, grazie a uno studio del noto ufologo Jonathan Livingstone, secondo cui questa sabbia mostrerebbe una strana tendenza a insinuarsi negli orifizi umani.
Ora, che la sabbia si infili ovunque dopo una giornata al mare è cosa nota, ma basta una doccia per liberarsene. La smart dust, invece, secondo Livingstone, riuscirebbe a superare lo sfintere e penetrare nell’intestino, e in alcuni casi anche nella vagina. La loro destinazione finale resta per ora sconosciuta.
Incrociando questi dati con ricerche passate, si ipotizza che l’obiettivo ultimo possa essere l’intestino cieco. Non abbiamo ancora prove definitive, ma è chiaro che da anni il NWO cerca metodi alternativi per “installarci” il chip proprio lì: nel didietro.
Alcuni nostri lettori più svegli hanno raccontato di utilizzare assorbenti interni anche per proteggere l’ano. Ma ci sentiamo di sconsigliare questa pratica, ricordando che anche gli assorbenti sono stati usati in passato come vettori di chip intracorporei.
Il consiglio è semplice: stringete bene i glutei e, soprattutto, evitate di sedervi sulla sabbia, in particolare sul bagnasciuga.