Trentino. Sono nel cuore delle Alpi, vicino alla ridente località di Folgaria a più di 1500 metri di quota. Qui si pratica lo sci, le passeggiate sui rifugi, e le autopsie sui cadaveri alieni. Ancora ho sul cellulare l’enigmatico SMS del mio ormai irrintracciabile collega Mario Pitone: “Tuono Trentino“. Due parole che ho impiegato mesi a decifrare, ma che alla fine mi hanno condotto qui. Base Tuono, un’ex installazione militare della NATO dei tempi della guerra fredda, oggi ufficialmente museo.
Mi addentro nottetempo nella struttura, dopo un’ispezione giornaliera che mi ha lasciato molti dubbi: perché lasciare alle intemperie dei missili potenti, benché ufficialmente disarmati, puntati verso l’alto? Cosa c’è dietro quella porta con scritto “Privato – Riservato al personale“? Ma soprattutto, perché gli abitanti di Folgaria da me intervistati riferiscono di urla misteriose, luci notturne e strani movimenti di caccia militari? Mi faccio coraggio, e armato di una torcia e di una pinza riesco a penetrare all’interno della base.
È con il cuore colmo di paura ma anche di speranza che entro nella stanza privata, sicuro di trovare una botola o un lettino per le autopsie. Ma se ci sono telecamere? Sicuramente “loro” non sono così sprovveduti, non può essere così semplice entrare. Sanno già che io sono qui. Forse mi conviene rinunciare. Forse dietro quella porta trovo un agente con un’arma in mano, pronto a tacciarmi per sempre. Forse aprire questa porta è l’ultima cosa che faccio in vita mia, ma la diretta streaming su facebook farà sapere al mondo la verità! La porta è scassinata, la varco, il cuore in gola. Un bagno. Dannazione.
Questa gente è più scaltra di quello che pensavo, non poteva lasciare degli indizi così evidenti. Mario, cosa mi volevi dire con quel messaggio? Perché non ti si riesce a contattare da mesi, anni ormai? Dove sei finito, compagno di avventure? Guardo le stelle, e penso che sei lassù, a lottare con i rettiliani. O forse sei fuggito con qualche specie amica. Ma perché quel messaggio, allora? Mi addentro nella foresta circostante, forse le mie avventure non sono ancora finite…
Luci. Sono loro, o forse è un’auto di passaggio. No, sono loro. Mi nascondo dietro un albero, forse non mi hanno visto. Entrano nella base da una botola esterna, quella che ufficialmente serve un acquedotto. Riesco a entrare anch’io, dopo di loro. Devo fare in fretta, più resto qua e più rischio che mi trovino, io non ho le abilità di Mario, devo trovare le prove e uscire. Quello che mi si para agli occhi è qualcosa di eccezionale e spaventoso al tempo stesso: un rettiliano, quasi sicuramente ermafrodita, incatenato a un tavolo operatorio, gli occhi vacui e tristi. I due che sono entrati nella base prima di me tolgono dal loro borsello nero degli attrezzi, forse chirurgici… No, quello è un preservativo! Non vorranno… I due si avvicinano alla creatura, uno da sopra e uno da sotto, e io ho il sangue gelato.
Svelto come un’ombra tiro fuori una macchina fotografica portatile, scatto due foto della scena e fuggo a gambe levate. La mia auto è parcheggiata a pochi chilometri, corro più veloce che posso, probabilmente sono sulle mie tracce ma una volta in macchina sarò in salvo. Ce la faccio, forse non mi hanno visto. Metto in moto e scendo a valle, batto ogni record di velocità, in un vicolo di Rovereto mi fermo e riguardo le foto che ho scattato, finalmente il mondo saprà!
Nulla. Le foto sono nere, come se avessi scattato senza flash di notte. Un generatore di onde ELF disturbanti, ecco cos’era quel radar! E quei missili, servono forse a impedire che astronavi aliene vengano in soccorso del loro compagno tenuto in prigionia? Mario, non so se sei lì tenuto prigioniero anche tu. Ma questa storia non finisce qui!
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