La primavera è finalmente arrivata, portando con sé il risveglio di energie profonde e la voglia di mettersi a lavorare con le mani nella terra. Non importa se si ha un ampio appezzamento di terreno, un piccolo angolo verde, un terrazzo o un balconcino. Ciò che conta è il desiderio di riconnettersi alla natura, e posso assicurarvi che le dimensioni, anche in questo caso, non contano ma basta usarlo bene, lo spazio. Ogni piccolo spazio può diventare un luogo di nutrimento, sia fisico che spirituale. Anche io, vivendo in una cittadina, coltivo le mie verdure su una terrazza che, seppur piccola, è ricca di energia e vitalità.
I consigli che vi sto per dare sono il risultato di anni di sperimentazioni e di affinamenti continui. Ogni anno, l’orto è diverso, cresce, evolve, come un organismo vivente che risponde alle leggi naturali. Come sempre, il prerequisito fondamentale per trarre il massimo da questa guida è l’apertura mentale. È necessario abbandonare ogni tabù che la società ci impone e permettere alla nostra curiosità di esplorare nuove vie. Se, durante la lettura, vi sentirete scettici o perplessi, vi invito comunque ad approcciarvi con rispetto verso il lavoro che ho fatto, un lavoro indipendente che nasce dalla passione e dalla ricerca.
Il potere agricolo dell’urina
Potrà sembrare un mio cavallo di battaglia, o forse una fissazione personale, ma non smetterò mai di celebrare le virtù della nostra urina e i doni preziosi che può offrire al nostro corpo e alla terra che ci nutre.
Chi conosce e pratica l’urinoterapia sa bene che questo nettare dorato è un concentrato vibrante di minerali nobili, pronti a essere riassimilati attraverso la via orale per riequilibrare i nostri flussi interiori. Ma il suo potenziale va ben oltre: l’urina è anche un meraviglioso fertilizzante naturale per le piante.
Al suo interno troviamo non solo azoto ureico, ma anche potassio e fosforo: i tre macroelementi fondamentali per lo sviluppo delle colture. A questi si aggiunge un altro dono prezioso: il ferro, che le figlie della Luna sono capaci di elargire attraverso il proprio fluire durante il loro Ritmo Sacro.
Spesso, durante le nostre giornate, non riusciamo a reintegrare tutta l’urina prodotta. Raccogliere quella in eccesso e destinarla ad altri usi è un gesto di cura e saggezza, che riduce gli sprechi e moltiplica i benefici. Personalmente porto sempre con me delle borracce dedicate a questo scopo, pronte ad accogliere il mio oro liquido ovunque mi trovi. Un gesto semplice che, tra l’altro, ci libera anche dal consumo insensato di acqua per ogni sciacquone tirato.
È possibile riversare l’urina quotidiana in una tanica o un bidone, da cui attingere poi con l’annaffiatoio per nutrire le proprie colture. Ma esiste un metodo ancora più potente, che io chiamo irrigazione dorata.

Quando siamo in presenza delle nostre piante e decidiamo di offrirci in quel momento sacro, urinando direttamente su di loro, accade qualcosa di profondo. L’urina arriva calda, carica della nostra vibrazione, e penetra il terreno come un gesto di amore e comunione. In quel momento non nutriamo solo il verde: ci radichiamo, ci ricolleghiamo, diventiamo parte del ciclo. È una forma di dono e connessione ancestrale, un atto di restituzione alla Madre Terra.
Tra i tanti usi creativi dell’urina ci tengo a ricordarvi anche quello del Golden Chembuster, che permette di contrastare la geoingegneria clandestina in modo naturale.
Concime solido gratis, a KM Zero
Tra le pratiche più fraintese ma anche più rivoluzionarie dell’ecologia circolare c’è quella che coinvolge le nostre deiezioni. Sì, sto parlando delle feci umane. So bene che per molte persone l’argomento può generare imbarazzo o rifiuto, ma vi invito a leggere queste righe con mente aperta e spirito curioso. Perché ciò che oggi scartiamo con disprezzo è, in realtà, una delle risorse più preziose che abbiamo.
Quando ci alimentiamo in modo naturale e consapevole, il nostro corpo diventa un piccolo laboratorio alchemico. Ogni scarto, se inserito nel giusto ciclo, può tornare alla terra come nutrimento. Le feci umane, se correttamente gestite, sono un fertilizzante naturale a km 0, straordinariamente ricco di sostanze utili per il suolo: azoto organico, fosforo, potassio, ma anche batteri benefici e microelementi che arricchiscono e rivitalizzano il terreno.

La compostiera a secco, che accoglie il nostro dono quotidiano, diventa così una culla di trasformazione. È importante garantire il corretto equilibrio tra materia umida e secca: per questo, consiglio di aggiungere fondi di caffè, che svolgono una doppia funzione. Da un lato mitigano e armonizzano gli odori — spesso temuti dal vicinato, ma del tutto naturali — e dall’altro arricchiscono il composto con azoto, magnesio e antiossidanti che le piante adorano.
I fondi di caffè, inoltre, portano con sé la memoria del risveglio e del calore: è come se la compostiera, ricevendo questo dono, venisse accarezzata da una mattina eterna. Ogni cucchiaiata di fondi che vi aggiungiamo è un gesto d’amore, un canto silenzioso alla vita che si rinnova.
Utilizzare le proprie feci nel compost non è solo un atto agricolo: è una dichiarazione d’intenti. È il riconoscimento del nostro ruolo nel ciclo della natura, senza filtri né vergogna.
Non abbiate timore di toccare con mano ciò che siete. Non c’è nulla di più naturale del restituire alla Terra ciò che da essa abbiamo ricevuto.
Per tutte le persone dalla mente libera dai condizionamenti della società occidentale, consiglio di riscoprire anche la pratica della nutrizione coprofaga.
Biodinamica alla portata di tutti
Chi pratica o si avvicina all’agricoltura biodinamica sa quanto sia profondo il legame che essa intesse tra cielo e terra, tra l’essere umano e le forze invisibili che regolano la vita. Tuttavia, uno degli ostacoli più concreti e spesso taciuti è la difficoltà nel reperire gli elementi tradizionali, come corna e sterco di vacca, elementi alla base del preparato 500.
Al di là delle questioni etiche, che ognuna e ognuno è libero di sentire nel proprio cuore, il dato pratico è che non tutte le persone hanno accesso a una vacca, né tanto meno a sue parti anatomiche. E allora, come possiamo onorare lo spirito della biodinamica senza dipendere da ciò che non ci appartiene?
La risposta, come spesso accade, è dentro di noi. Letteralmente.

Proponiamo dunque un’alternativa tanto naturale quanto profondamente connessa con la nostra essenza: sfere di compost umano arricchite con capelli, unghie e materia organica personale.
Il nostro sterco – quando frutto di un corpo in equilibrio, nutrito da alimenti vivi e vegetali – è ricco di microbi utili e sostanze rigeneranti per il suolo. I capelli, come le unghie, sono composti da cheratina, proprio come le corna bovine. Sono materie vive, raccolte direttamente dal nostro corpo, frutto della nostra crescita, del nostro contatto con il sole, con il tempo, con le stelle. Non sono scarti: sono codici di memoria biologica.
Creare con le proprie mani queste sfere rituali e interrarle in autunno è un gesto di restituzione profonda: non più un’agricoltura che si basa sull’uso di altri esseri viventi, ma una che parte da sé, dai propri ritmi, dalla propria materia, per diventare fertilità viva e circolare.
Una pratica che chiunque può mettere in atto, a costo zero e a km 0, con materiali che non hanno bisogno di essere comprati o sottratti, ma semplicemente raccolti con consapevolezza e intenzione.
L’agricoltura, come la vita, può essere rigenerativa solo se è accessibile a tuttə. Questa è la vera magia della biodinamica reinventata: non un dogma, ma un sentiero personale di connessione con la terra.
Il potere del canto sulle piante
Tra le pratiche più potenti, ma troppo spesso dimenticate, vi è quella del suono consapevole. Durante la Luna Nuova, quando il cielo si fa grembo oscuro e la terra si prepara a ricevere, intonare canti e vocalizzi profondi nella notte può fare la differenza nel cammino delle nostre piante.
Questo non è semplice folklore: è un sapere antico, custodito da molte culture che hanno sempre saputo che il suono è vibrazione, e la vibrazione è vita.
Nel buio della luna nascosta, le sementi si muovono silenziosamente sotto il suolo, cominciano a vibrare, ad aprirsi, a cercare la luce. È in quel momento che le nostre voci possono guidarle, come un richiamo primordiale. I toni gravi, continui, vibrati dal diaframma risuonano nel terreno, nei vasi, nei cuori. Stimolano la radicazione, favoriscono la germinazione, preparano il campo per fiori, frutti e ortaggi carichi di energia.
Io stessa, ogni mese, mi ritaglio uno spazio di intimità notturna. Mi avvolgo in un telo naturale, scendo a piedi nudi sulla terra o mi accoccolo vicino ai miei vasi sul terrazzo. E lì, nel silenzio cosmico, lascio uscire la mia voce. Non è importante “cantare bene”, ma farlo con presenza e amore. È un dialogo con ciò che cresce, un dono sonoro che nutre più di mille concimi chimici.
Questa pratica non richiede strumenti né costi. Solo tempo, ascolto e volontà di connettersi. Non si tratta di “aiutare le piante”: si tratta di ricordare che siamo parte dello stesso ritmo, dello stesso ciclo lunare, dello stesso respiro.